Covid, pandemia e adesso guerra in Ucraina. In due anni non ci siamo fatti mancare nulla ma siamo ancora qua, a lottare tra ordini veloci più della luce e a montagne di campioni che devono essere pronti per ieri. Al contrario di quello che si sente dire in giro, la produttività non è mai stata in forte calo (almeno per noi), ma oltre alla complessità di questi tempi e a quella propria di ogni commessa, il nuovo assetto risente anche di scatti in avanti repentini e forse ingiustificati che poi si comprimono e schizzano all’indietro al doppio della velocità. Uno di questi scatti, è proprio il reshoring.
Reshoring, perché Ricollocamento sta brutto.
Siamo famosi in Italia per gli anglicismi e con reshoring, non siamo stati da meno. Nel nostro settore se ne sentiva parlare già da qualche anno prima della pandemia, ma era come, Jack, uno di quei parenti dall’America che senti ogni tanto, quasi stancamente, per poi trovartelo di fronte una mattina, quando apri la porta per andare al lavoro:”Hi Paolo! Nice to see you!”.
Jack è qui.
Ebbene, Jack sembra arrivato. Nel settore del lusso, almeno. Ma ricollocare una produzione che è stata trasportata in qualche parte del globo terracqueo non è che sia proprio una passeggiata. I grandi marchi hanno già iniziato, ma si trovano in difficoltà, un po’ perché togliere la produzioni da luoghi in cui si è consolidata è impegnativo da un punto di vista ‘politico’, più che produttivo; un po’ perché bisogna rimettere in piedi un settore altamente specializzato come quello del ‘professionista della pelle’ che per decenni è stato ridimensionato.
Un professionista di alto livello non si inventa; e noi ne sappiamo qualcosa. E il problema è molto complesso, perché investe il vero motivo per il quale la manifattura italiana è ai vertici dell’alta moda: una volta perduta una o addirittura due generazioni, il ‘saper fare e bene’ non si ricostituisce in pochi anni. E ne va del bene più prezioso che abbiamo: la Qualità.
Sta tornando a casa.
Per questo il ricollocamento di unità produttive costerà grandi risorse ai brand che finiranno per accrescere la competitività tra loro a colpi di investimenti, investimenti che di questi periodi diventano sempre più problematici. Il ricorso a terzisti evoluti interni al nostro paese sarà quindi sempre più necessario e, probabilmente, costituirà il vero terreno di scontro tra marchi dell’alta moda: chi sarà capace di acquisire alti livelli di specializzazione, ne uscirà sicuramente alla grande.